.jpg)

Il trattato del Quirinale
Enrico Martial
giornalista valdostano
L’obiettivo principale del trattato del Quirinale è di rafforzare la cooperazione tra Italia e Francia. Sarà davvero possibile riuscire a superare tutte le difficoltà del passato, creare delle relazioni stabili e non arrivare più a tensioni tanto forti come quelle degli anni scorsi?
Bisogna pensare al Trattato come a un nuovo strumento a disposizione, come a un perimetro in cui parlare e dialogare. Una delle ragioni degli attriti passati risiedeva proprio nelle incomprensioni dovute a mancanza di dialogo. In alcune ipotesi iniziali, si prevedevano vari meccanismi creatori di quotidianità e familiarità tra gli uffici e le persone. Alcuni saranno forse ripresi in futuro e altri sono già iscritti nel Trattato e nel Programma di lavoro che l’accompagna: per esempio nella partecipazione periodica di ministri dell’altro Paese ai rispettivi consigli dei ministri.
Quanto questo trattato potrà influire sul rapporto Germania-Francia? Si potrà davvero parlare di un rapporto a tre? O nasceranno nuove gelosie?
Siamo in una fase in cui osserviamo maggiore iniziativa e forza nell’integrazione europea da parte degli Stati rispetto alla stessa Commissione europea. Inoltre, siamo in una fase in cui i Paesi pro-europei devono svolgere un ruolo da costruttori, rispetto ai Paesi frenatori, dalla Polonia all’Ungheria. La relazione tra i costruttori, come quella franco-tedesca, quella italo-francese e quella italo-tedesca sono senz’altro di aiuto.
Il rapporto tra Italia e Germania, istituzionale ed economica, è assai vivace e positiva. La visita del neopresidente Olaf Scholz a Roma a dicembre l’ha confermato, prefigurando un pragmatico programma di lavoro comune che potrebbe essere anche più efficace di un Trattato classico.
Non dimentichiamo che esistono diverse attività tripartite, come “Industria 4.0” e che ve ne sono altre in cui Francia e Germania “chiamano” l’Italia: nella difesa – ad esempio sul nuovo carro armato - oppure nella protezione dei dati sul cloud. Più che gelosie, vedo la necessità di un maggiore coraggio italiano a partecipare: forse affinando gli strumenti e scegliendo meglio le persone, perché in Italia le competenze e le forze non mancano.
Quanto questo trattato influirà sull’Europa? Sarà davvero uno slancio in più, così come l’hanno già affermato più volte Macron e Draghi o potrà anche rappresentare un ostacolo al buon funzionamento comunitario?
Una delle ragioni del trattato sta nella capacità di discutere ed elaborare le posizioni di ogni Paese prima della formazione delle decisioni europee. È un esercizio assai utile per l’Italia: abbiamo persone ottime in diversi ambienti, e senz’altro abbiamo bisogno di procedimenti più strutturati in consultazioni, raccolta informazioni, disegno di scenari. Lavorare con la Francia in bilaterale sarà per alcuni uffici impegnativo, altri già ci sono parzialmente abituati. Per l’Italia, vi è la possibilità di arrivare ai comitati e in fase ascendente ancora più attrezzati, e quando si riesce, con una posizione comune con Francia e Germania. Non va infatti dimenticato che la Francia svolge questo stesso esercizio con la Germania proprio nell’ambito del Trattato dell’Eliseo, in una normale quotidianità,
Bisogna pensare a cercare soluzioni “europee” anche quando le posizioni sono differenti, come nel caso recente della bozza di regolamento delegato sulla tassonomia che interessa il gas e il nucleare.
Inoltre, va ricordato che il Trattato si iscrive appunto nella logica della “cooperazione rafforzata” prevista dai Trattati europei, per andare “più avanti” su temi e questioni di interesse comune per i Ventisette.
La realizzazione di questo trattato si deve anche e soprattutto alla grande intesa e amicizia che si ha tra Emmanuel Macron e Mario Draghi. È possibile che una volta terminati i loro mandati ed eletti presidenti diversi questo trattato verrà messo da parte?
Intanto va ricordato che il Trattato deve prima passare dall’approvazione dei due parlamenti nazionali. Dopodiché credo che resterà. Soltanto governi nazionalisti o da stato commerciale chiuso potrebbero trasformalo in un esercizio formale: per gli altri l’utilità è evidente, proprio in riferimento all’interesse collettivo europeo e all’interesse nazionale di ciascuno dei due Paesi. L’integrazione europea è andata molto avanti, le sfide globali – quelle geopolitiche, economiche, ambientali - non possono essere affrontate da soli, ogni Paese ha tutto l’interesse di rafforzare il contesto in cui si trova per riceverne a sua volta beneficio. L’acquisizione europea dei vaccini ne è un grande esempio, con una Europa forte e capace di trovare soluzioni. Viceversa, in materia di immigrazione, o di questioni geopolitiche, dove l’Europa è meno capace, si riscontrano subito le difficoltà e le ricadute sociali, economiche, politiche. La relazione bilaterale aiuterà a rafforzare proprio questo contesto.
La firma del trattato è avvenuta da poco. Come vede il futuro delle relazioni tra Italia e Francia alla luce di questa grande novità?
Penso che occorra lavorare per riempire di contenuti il Trattato e dare attuazione al Programma di lavoro. Per esempio, il dialogo in ambito economico e industriale tra i ministri Bruno Le Maire e Giancarlo Giorgetti dimostra che si possono fare progressi in diversi ambiti, dallo spazio alle tecnologie. Sui territori di prossimità italo-francesi, a partire dalla Valle Roja colpita dalla tempesta Alex, bisogna costruire un processo che risolva i problemi creati appunto dalla mancanza di dialogo. Vi sono poi altri campi in cui progredire: nella comunicazione radio-televisiva e nella diffusione del plurilinguismo, anche potenziando il doppio diploma ESABAC, nella ricerca e nell’alta istruzione, con una delle “università europee”, oppure cogliendo le opportunità economiche, cooperative, complementari e anche competitive, che vengono dalle migliori relazioni bilaterali. Sarà necessario un avvicinamento delle rispettive legislazioni e regolamentazioni, nel quadro delle comuni norme europee. Nel Trattato e nel suo Programma di lavoro ci sono le piste per lavorare su questi temi.
Grazie a questo trattato, e quindi a una più stretta collaborazione, sarà possibile per l’opinione pubblica dei due Paesi superare i luoghi comuni che ci si porta dietro da tempo, come la visione di una Francia predatrice delle imprese italiane o di un’Italia vista solo come meta turistica per il suo patrimonio culturale? Quali sono stati i sentimenti che questo trattato ha suscitato tra i francesi e gli italiani?
Credo che non sia tanto l’opinione pubblica a essere portatrice di queste narrazioni, quanto la mediazione culturale che le viene offerta dagli osservatori, e cioè dai giornalisti, e dai quadri e dai vertici di strutture pubbliche o private. Abbiamo un progresso culturale da compiere, dal versante italiano occorre più fiducia in sé stessi e una visione più realistica, meno scossa da paure e sentimenti di inferiorità, che in diversi ambiti non hanno ragion d’essere. L’interscambio economico nel 2020 è stato per 14 miliardi favorevole all’Italia, e non solo: avere investitori esteri nel proprio Paese va considerato come un fatto positivo, di maggiore attrattività.
Infine, credo che il Trattato non abbia costituito agli occhi dell’opinione pubblica un tema decisivo, al netto del variabile clamore dei giornali e dei media che ne hanno parlato il giorno della firma. Credo che saranno più importanti le concrete relazioni che sapremo sviluppare nei prossimi mesi e anni, anche come fattore di rassicurazione per le persone e per gli operatori economici, come scenario e indirizzo per la crescita e la stabilità.